TRADUCI

Un organo Fedeli del 1790

Un importante restauro in vista per poter riportare agli antichi splendori un meraviglioso e prezioso organo del 1790

L’organo a canne è, per definizione, opera d’arte unica e irripetibile. Non esistono due organi uguali, anche se costruiti dallo stesso artefice e, magari, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro. Ciò è vero, soprattutto, per gli organi antichi, costruiti con materiali pregiati di fattura artigianale  e con un’organizzazione artigianale del lavoro.

(Orizzonti della Marca – 9 luglio 2016 – art. di Gianni Rossetti)

 







L'Enciclopedia TRECCANI su FEDELI, organari marchigiani

Organi superstiti costruiti da Venanzio, attivo alla Rocchetta verso la fine del '700, dislocati in località marchigiane (Sefro, Ss. Maria Assunta, parrocchiale, 1790) e umbre (La Bruna di Castel Ritaldi, parrocchiale, 1794), attestano un ulteriore artefice, di cui non si conoscono i dati biografici, da ricondursi con ogni probabilità alla discendenza di Giovanni o Francesco di Venanzio.
 

FEDELI. - Famiglia di organari marchigiani ("oriunda veneziana", secondo quanto scrisse Zeno F., in una lettera del 1880 a P. C. Remondini) variamente presente con diversi rami nelle regioni dell'Italia centrale, dove operò attraverso numerosi esponenti dalla fine del sec. XVII alla prima metà del sec. XX.
Luogo di residenza e di maggior attività della famiglia è Corgneto, odierna frazione di Serravalle di Chienti, villaggio dell'alto Maceratese ai confini con l'Umbria, anticamente facente parte di un territorio più vasto denominato Rocchetta di Camerino. Da questa località, posta sullo spartiacque Adriatico-Tirreno in un punto nevralgico per la viabilità e i commerci, l'attività degli organari si irradiò secondo le naturali direttrici, che la portarono in tutte le province delle Marche, in Umbria, in Toscana, in Abruzzo e nel Lazio dal Reatino fino a Roma; sin dai primi decenni del '700 l'opera dei F. è testimoniata anche in Emilia Romagna, poiché un ramo della famiglia si trapiantò a Ferrara. Intorno alla metà dell'800 Domenico trasferì la bottega da Corgneto a Foligno, dove la parabola professionale dei F. si chiuse con Zeno, ultimo e celebre esponente della famiglia.
Allo stato attuale delle conoscenze, il primo organaro attestato è Giovanni, nato probabilmente a Corgneto nella prima metà del sec. XVII, che nel 1691 realizzò alcune canne di legno per il secentesco organo del duomo antico di San Severino Marche.
Non si sa da chi questi abbia appreso l'arte, né se la professione fosse già esercitata dal padre di lui, Fedele. Benché di Giovanni non ci siano pervenuti strumenti, la produzione delle successive generazioni denota caratteristiche tecniche ed estetiche comuni alla tradizione organaria dell'Italia centrale, influenzata sia dai modelli della vicina Roma sia dai prodotti degli organari veneti, che trovarono larga diffusione nelle Marche durante il sec. XVIII. Al di là di queste considerazioni generiche, le origini dell'attività dei F. rimangono ancora oscure. Giovanni, come già altri della famiglia prima di lui, figura anche fra i notai che rogarono alla Rocchetta, dal 1660 al 1697, probabile anno della sua morte. Un così assiduo svolgimento di tali funzioni fa pensare ad un'attività organaria esercitata in zona. Egli verosimilmente è il capostipite degli organari, in quanto il fratello Giacomo Filippo e la sua diretta discendenza pare siano estranei alla professione, mentre tutti i suoi figli ne continueranno il mestiere.
Dal matrimonio di Giovanni con Margherita Cristofori nacquero Venanzio, Feliciano, Filippo e Domenico.
Dell'attività di Venanzio (quasi certamente nato a Corgneto, nel 1681 circa e morto ivi, 2 dic. 1756) e Filippo (probabilmente Corgneto 1691 circa-ivi 7 dic. 1728) si hanno prevalentemente testimonianze documentarie: il primo ottenne la manutenzione dell'organo della cattedrale di Foligno (1705) e restaurò gli organi delle cattedrali marchigiane di Ancona (1714), Fermo (1716) e Urbania (1737) e, in Umbria, di Città di Castello (1727); il secondo, morto in giovane età, intervenne anch'egli sugli organi del duomo fermano (1723). L'unico organo superstite firmato da Venanzio, del 1720, Si trova a Recanati, nella chiesa del cimitero, ivi trasportato nel 1920 dalla vicina cittadina di Castelnuovo. Di Feliciano (il presumibile luogo di nascita e l'accertato luogo di morte, come per tutti i soggetti che seguono, è - salvo diversa indicazione - Corgneto, 1684 circa-19 nov. 1746) invece restano alcuni strumenti, eccellenti testimonianze di una cospicua produzione andata in gran parte perduta, che interessò una vasta area: oltre agli organi marchigiani di Montelupone (Ss. Pietro e Paolo, originariamente in S. Domenico a Recanati, 1735), San Paolo di Iesi (ora nella parrocchiale, ma già costruito per Macerata nel 1737), San Severino Marche (S. Maria del Glorioso, 1737 e S. Filippo, 1743), si hanno suoi strumenti in Emilia Romagna, a Civitella di Romagna (santuario della Suasia, 1731, forse proveniente da Bologna) e a Terra del Sole (parrocchiale, 1734); in Umbria, a Monterivoso (parrocchiale, 1741) e Sant'Eraclio di Foligno (parrocchiale, 1745); in Abruzzo, a Mosciano Sant'Angelo (Ss. Sette Fratelli, 1717, di cui resta il solo somiere) e a L'Aquila (S. Bernardino, 1726). Quest'ultimo, oltre che essere il capolavoro di Feliciano, è il più grande organo dei F. superstite, con un imponente prospetto di W, integrato con aggiunte ottocentesche di registri, tra cui le trombe en chamade. Per la reputazione guadagnatasi, Feliciano fu chiamato - almeno dal 1739 - a ricoprire l'incarico di organaro ufficiale della S. Casa di Loreto; è perciò probabile che abbia corredato di qualche strumento, poi perduto, il celebre santuario mariano.
Domenico (1702 c. - Ferrara 28 sett. 1777) è il capostipite del ramo ferrarese dei F.; la sua presenza nella città estense è documentata dal 1727. Se non si era già stabilito a Ferrara, egli vi si stava certo portando quando, dal 1721 al 1726, effettuava restauri al secentesco organo della chiesa di S. Giovanni Evangelista a Ravenna. Dal suo matrimonio con ottavia Caterina Grotti nacquero quattro figli, che esercitarono tutti la professione organaria: il primogenito Giovanni, nato in luogo non identificato intorno al 1724 e morto probabilmente ancora giovane dopo il 1755 (anno in cui sono attestati suoi interventi sull'organo della chiesa del Suffragio a Ferrara); Filippo Antonio (Ferrara 22 nov. 1732-ivi 23 febbr. 1816) - il cui padrino di battesimo fu l'organista della cattedrale ferrarese P. A. Bassani - che è l'artefice più attestato della schiatta; Francesco, nato probabilmente a Ferrara nel 1740 circa e ivi morto il 21 giugno 1761, dopo una breve attività; Andrea, nato probabilmente a Ferrara intorno al 1745 e ivi morto dopo il 1795, che da solo e con il fratello maggiore Filippo Antonio firmò vari organi ancora oggi esistenti nelle chiese di Ferrara e del circondario. Da Filippo Antonio e Clara Piccioli nacque Francesco Girolamo (Ferrara, 14 febbr. 1772-ivi 16 genn. 1841), l'ultimo del ramo ferrarese a praticare l'arte organaria. Si sa infatti che il solo figlio sopravvissuto di Andrea e Beatrice Bonetti, Giovanni (prob. Ferrara 1774 circa-ivi 1842) non esercitò il mestiere familiare, lavorando come magazziniere e scrivano presso il Comune di Ferrara.
L'attività organaria di Domenico a Ferrara dovette essere piuttosto intensa; di essa però rimangono poche notizie documentate. Nel 1731 egli operò il rifacimento dell'organo grande, in coro, del duomo di Ferrara, utilizzando parte del materiale fonico antico; nel 1737 (come risulta dai libri di amministrazione) riparò l'organo grande della chiesa dell'Arciconfraternita ferrarese della Morte, accomodando pure - nel 1737 e nell'anno seguente - l'organo positivo della medesima compagnia; nel 1743, con il figlio Giovanni, restaurò il secentesco organo di S. Francesca Romana a Ferrara; nel 1746, ancora per il duomo di Ferrara, costruì un organo che fu posto a lato dell'altare della Madonna delle Grazie. L'organo della chiesa ferrarese di S. Apollonia (1749), benché in precario stato di conservazione, rappresenta l'unica opera superstite di Domenico. Maggiori sono le testimonianze organarie pervenuteci dei suoi discendenti. Fatta eccezione per Giovanni (che nel 1745 condusse un restauro di una certa entità sull'organo cinquecentesco di S. Martino a Bologna) e Francesco (di cui è finora attestato - attraverso un'iscrizione autografa sullo strumento, datata 1760 - il solo intervento di ripulitura dell'ex organo della chiesa dei servi di Ferrara, oggi nella parrocchiale di Medelana di Ostellato), le cui brevi parabole professionali non poterono essere incisive, l'attività di Filippo Antonio, Andrea e Francesco Girolamo ha lasciato tracce cospicue. La più prestigiosa ed impegnativa impresa dei fratelli Filippo Antonio e Andrea fu la costruzione del nuovo organo a due tastiere del coro nel duomo di Ferrara. Il grande strumento era costituito da un primo organo fondato sul Principale 16', di 20 registri, con tastiera di 57 note e pedaliera di 18 tasti e da un organo "di risposta" di 8' e 8 registri, con tastiera eventualmente accoppiabile alla prima (come da documenti conservati nell'Arch. capitolare del duomo); esso costò 600 scudi per la sola macchina sonora (la parte fonica era formata da oltre 1.300 canne), venne suonato per la prima volta il 2 febbr. 1780 e rimase in uso fino al 1814. Organi superstiti di paternità accertata si trovano a Ferrara (S. Agnese: Filippo Antonio e Andrea 1777, S. Antonio in Polesine: Andrea 1795 e nella parrocchiale della frazione di Mizzana: Filippo Antonio e Andrea 1781) e in provincia, a Casumaro di Cento (parrocchiale: Filippo Antonio e Andrea 1781), Sabbioncello San Vittore di Denore (parrocchiale: Filippo Antonio e Andrea 1782), Mesola (parrocchiale: Filippo Antonio e Francesco 1795); ma molte altre chiese ferraresi e delle località limitrofe ospitano organi che, benché non firmati, sono riconducibili a tali artefici. L'attività dei F. di Ferrara interessò anche le province vicine, soprattutto quella di Modena: nella chiesa di S. Francesco a Finale Emilia, ad es., si trova un organo costruito da Filippo Antonio e Andrea nel 1779.
Della stessa generazione di Feliciano e fratelli è Pietro, nelle fonti documentarie più antiche detto "di Camerino", di cui non si conoscono i rapporti esatti di parentela con i precedenti; ne risulta attestato un intervento di manutenzione sull'organo della cattedrale di Gubbio (1720), mentre suoi organi perduti si trovavano in Umbria, nella parrocchiale di Citerna (1724?) e nella chiesa dell'università di Perugia (1750). Non è escluso che egli possa essersi stabilito nel capoluogo umbro, poiché nel 1738 un Pietro F. "di Perugia" accomodò l'organo piccolo della cattedrale della città e nel 1740 restaurò quello grande del duomo di Arezzo.
I figli di Venanzio, Giovanni (22 ott. 1711-26 apr. 1782), Giuseppe (1737c.-25 marzo 1797) e Francesco (collocabile cronologicamente tra i due), ebbero alla Rocchetta una bottega organaria fiorente.
Lavorando separatamente e in varia collaborazione, essi realizzarono numerosi organi. Nelle Marche, si segnalano strumenti di Giovanni a Sant'Elpidio a mare (chiesa dell'ospedale, 1741), Pievebovigliana (S. Maria Assunta, 1747), Sarnano (S. Maria, 1749 e S. Pietro vulgo del Carmine, 1750)., Valcimarra di Caldarola (S. Biagio, 1752), San Severino Marche (S. Caterina, 1761, con aggiunta di una seconda tastiera contrapposta allo stesso corpo d'organo nel 1766), Montecosaro (S. Lorenzo, 1764), Camerino (S. Venanzio, cappella del sacramento, 1769 - originariamente nella chiesa della Ss. Annunziata - ed ex chiesa di S. Carlo, 1771), S. Lorenzo in Campo (S. Biagio, 1779); di Giuseppe, che fu sacerdote, a Camerino (Ss. Crocefisso vulgo del seminario nuovo, 1764), Filottrano (S. Maria Assunta, 1768), Staffolo (S. Egidio, 1768), Cartoceto (parrocchiale, 1772), Castignano (S. Maria, 1773), Tolentino (S. Catervo, 1787, attualmente smontato); di Francesco a Grottammare (S. Lucia, 1751) e a Sant'Angelo in Pontano (S. Nicola, 1758); questi, con Giovanni, costruì l'organo della collegiata di Visso (1759) e rifece quello di S. Maria del Buon Gesù di Carassai (1774). Loro opere esistono anche in Umbria, tra cui gli organi di Foligno (S. Giovanni dell'Acqua e parrocchiale di Pale, Giovanni 1775) e di Montefalco (S. Chiara, Giuseppe 1788). Nelle due regioni vi sono inoltre numerosi organi non firmati loro attribuibili; altrettanto frequenti sono le testimonianze di restauri e rifacimenti di strumenti preesistenti. Verso la metà del '700 Giovanni e Francesco risiedettero per qualche anno a Perugia e mentre Giovanni fece ritorno alla Rocchetta, dove morì, Francesco probabilmente si trasferì altrove.
Feliciano sposò a Corgneto Maria Nicoletti nel 1710; dal matrimonio discese una nutrita figliolanza, i cui componenti maschi esercitarono tutti la professione organaria: Domenico Antonio, Adriano, Bernardino, Raffaele e Gaspare (attivi nella seconda metà e morti verso la fine del '700).
DomenicoAntonio (1721 c.-12 ag. 1781) prese a condurre l'azienda familiare già dal 1746, quando firmò in vece del padre il contratto per la costruzione di un organo positivo, oggi perduto, per il canonico maceratese C. Frontoni e realizzò l'organo di S. Eustachio a Belforte del Chienti, una delle sue prime opere. Da allora data un'intensa produzione che vede spesso il suo nome associato a quello dei fratelli Raffaele, Bernardino e Gaspare, con i quali formò una rinomata bottega che, da Corgneto, si spostò anche in Abruzzo, lavorando intensamente a L'Aquila e Sulmona. Delle opere superstiti firmate da Domenico Antonio si ricordano: nelle Marche, gli organi di Belforte del Chienti (S. Pietro, 1747), San Lorenzo di Fiastra (parrocchiale, 1749), Acqua Pagana di Serravalle di Chienti (S. Salvatore, 1762), Cingoli (S. Filippo, 1764), Serra San Quirico (S. Quirico, 1775), Iesi (S. Pietro, 1779, Op. 136); in Abruzzo, L'Aquila (Addolorata, 1750), San Demetrio ne' Vestini (parrocchiale, 1752), Ortona dei Marsi (S. Giovanni Battista, 1752), Anversa (S. Maria delle Grazie, 1753), Sulmona (Ss. Annunziata, in cornu Epistulae, 1753 e S. Francesco della Scarpa, 1754), Caramanico (S. Maurizio, 1755), Castello di Fagnano Alto (parrocchiale, 1755), Sulmona (S. Antonio già S. Nicola, 1756), Campo di Giove (S. Eustachio, 1757), Barisciano (S. Flaviano, 1759), L'Aquila (S. Chiara povera vulgo B. Antonia, 1760, e S. Maria di Roio, 1761). Organi da lui realizzati in varia collaborazione con i fratelli si hanno nelle Marche a Falerone (S. Paolino già S. Giovanni Battista, 1765), Castelbellino (S. Marco, originariamente nella collegiata di Cingoli, 1768, Op. 108), Pieve Torina (S. Maria Assunta, 1771, Op. 109); in Abruzzo a Celano (S. Angelo, 1757), mentre a L'Aquila, dell'organo del coro costruito in S. Bernardino (1762), rimane la sola cassa. L'attività di Domenico Antonio e fratelli è inoltre documentata, anche se non restano testimonianze materiali, nella cattedrale di Ferffio, dove tra 1768 e 1770 fu effettuato il restauro-rifacimento dell'organo grande e in quella di Orvieto, in cui un'analoga operazione venne condotta sul monumentale strumento cinquecentesco nel 1776, dopo che era già stato da loro realizzato l'organo minore (1773). Bernardino (1731 c. - 11 marzo 1791) e Gaspare, pur facendo parte attiva della bottega, non risultano aver costruito da soli alcuno strumento. Raffaele, abile artefice, sigla invece molti organi, costruiti da solo e in collaborazione soprattutto con Bernardino; tra questi: nelle Marche, a Servigliano (S. Marco, 1779), Urbino (S. Sergio - originariamente nella cattedrale di Fossombrone - 1780, Op. 141), Mogliano (S. Maria del Suffragio, 1782, Op. 146), San Ginesio (S. Maria in vepretis, 1789, Op. 162); in Umbria, a Baschi (S. Nicolò, 1778, Op. 133), a Capodacqua (parrocchiale, 1779), a Rasiglia di Foligno (parrocchiale, 1788, Op. 159); nel Lazio, a Viterbo (S. Maria del Suffragio, 1777, Op. 130) e a Rieti (duomo, in cornu Epistulae, 1788); in Abruzzo, a Rocca di Mezzo (S. Maria della neve, 1759). Raffaele non risulta morto alla Rocchetta: pare che nel 1790 fosse domiciliato a Firenze.
Adriano (1727 c.-Atri, 19 ott. 1797) figura giovanissimo accanto al padre, collaborando con Feliciano alla costruzione di un organo, oggi non più esistente, per la chiesa di S. Martino a Senigallia (1739-40) e alla realizzazione dell'organo di S. Maria a Norcia (1743), giunto fino a noi. Nel 1745 sposò la cugina Bartolomea F. (figlia di Venanzio) e subito dopo si allontanò da Corgneto, risultando già nel 1746 attivo nel Reatino, dove costruì l'organo della chiesa di S. Felice a Cantalice. Nella collegiata di S. Michele Arcangelo a Contigliano si trova la sua opera più prestigiosa: un imponente organo, fondato su due Principali di 16', costruito nel 1748. Anche il duomo di Rieti, nell'organo in cornu Evangelii, ebbe un suo strumento (1752), oggi perduto, mentre nella chiesa di S. Chiara della stessa città rimane un organo datato 1748. Dal 1752 Adriano risulta attivo ad Ascoli Piceno, dove restaura ed integra l'organo cinquecentesco del duomo e si fa conoscere con il cognome mutato in "Federi", firmando così gli organi del Carmine (1752) e di S. Angelo Magno (1754); nel 1754 gli nacque ad Ascoli il figlio Emidio. Poi Adriano soggiornò brevemente a Civitella del Tronto, dove nacque l'altro suo figlio Damaso (13 nov. 1755). Negli anni immediatamente successivi dovette morire la moglie perché, trasferitosi definitivamente ad Atri, nel 1759 vi sposò in seconde nozze Maria Leoni di Rieti, dalla quale ebbe una discendenza solo femminile. Non si conoscono le ragioni che spinsero Adriano a mutare il cognome, che doveva suonare Fèderi per dar luogo alla più tarda forma sincopata Fedri. I motivi furono forse strettamente personali e non trapelano dai documenti recentemente rinvenuti, che però confermano la tesi dell'identificazione già da più parti avanzata.
Sotto il nuovo nome (Federi o Fedri) Adriano continuò ad esercitare in Atri un'intensa attività organaria. Dei suoi molti strumenti in territorio abruzzese, si ricordano gli organi ancor oggi esistenti nelle chiese di Fano Adriano (parrocchiale, 1756), Morro d'Oro (parrocchiale, 1758), Castelbasso di Castellalto (parrocchiale, 1760), Basciano (S. Flaviano, 1760), Chieti (S. Chiara, 1778), Penne (S. Domenico, 1781 e Madonna del Carmine, 1782), Moscufo (S. Rocco, 1787), Palena (Madonna del Rosario, 1787); parte della sua produzione è andata perduta, anche in periodo recente, come gli organi delle chiese di Loreto Aprutino (S. Francesco, 1745), Atri (S. Reparata, 1771), Città Sant'Angelo (S. Agostino, 1795) e altri. Alla sua morte lasciò ai figli - che ben presto avevano preso a lavorare con lui (un organo firmato dai due fratelli si trova nella parrocchiale di Moscufo, 1784) - una rinomata bottega. Emidio continuò in loco l'attività, mentre Damaso si trasferì a Rieti, avendo sposato la reatina Camilla Stagni, e risultando ivi attestato sin dal 1788, anno in cui costruì l'organo della parrocchiale di S. Rufina di Cittaducale; sempre a Rieti, dal 1790 al 1792 nacquero le sue prime due figlie e dal 1792 al 1794 gli venne affidata la manutenzione dell'organo del duomo costruito dal padre. Dopo la parentesi reatina, Damaso ritornò ad Atri per qualche anno: nel 1798 vi nacque il figlio Adriano (che probabilmente non raggiunse l'età adulta), ma già dal 1800, la famiglia risulta di nuovo assente dalla città abruzzese. Damaso sembra inoltre aver voluto ripristinare il cognome originario, dichiarandosi in strumenti e documenti "Federi de' Fedeli" o semplicemente "Fedeli", come in un piccolo organo costruito a Rieti nel 1792 (oggi a Roma nel Museo naz. degli strumenti musicali).
Emidio (Ascoli Piceno 5 ott. 1754-Atri 19 apr. 1824) fu attivo come restauratore e costruttore (un suo organo è a Vasto, Maria Ss. Incoronata, 1789). Dei figli nati dal matrimonio con Geltrude Mambelli è Gaetano (Atri 7 luglio 1785-ivi 14 genn. 1853) a continuare la professione, lasciando testimonianze di una circoscritta ma interessante attività (nell'organo atriano di S. Domenico aggiunge registri come le trombe orizzontali e il violino incassa espressiva). Discendono da Damaso i Fedri che ebbero residenza a L'Aquilatra '800 e '900. Salvatore (Rieti 1800 c. -L'Aquila 10 genn. 1882) e il figlio Antonio, nato a L'Aquila nel 1839 dal matrimonio con Marianna Ricottilli, hanno lasciato tracce nell'Aquilano, dove costruirono insieme l'organo di Camarda (parrocchiale, 1871), mentre di Antonio rimane quello di Villa San Giovanni di San Demetrio ne' Vestini (parrocchiale, 1898).Fratello di Antonio è Andrea, non si sa se anch'egli organaro; sicuramente lo fu il figlio Vittorio, nato a L'Aquila dal suo matrimonio con Concetta Zugaro il 17 nov. 1860, della cui attività restano testimonianze di restauri, come quello condotto sull'organo della parrocchiale di Poggio Filippo (1907). Da Antonio e Vincenza Fornelli nacque Celestino (L'Aquila 8 apr. 1884-ivi 1 marzo 1960), ultimo organaro di questo ramo. Ne rimane uno strumento, costruito nel 1925 secondo gli antichi canoni (la trasmissione è ancora meccanica), nella parrocchiale di San Felice d'Ocre; ma la professione organaria, esercitata con scarso successo e non alpasso Con i tempi, fu da Celestino riconvertita in quella di accordatore di pianoforti.


Organi superstiti costruiti da Venanzio, attivo alla Rocchetta verso la fine del '700, dislocati in località marchigiane (Sefro, Ss. Maria Assunta, parrocchiale, 1790) e umbre (La Bruna di Castel Ritaldi, parrocchiale, 1794), attestano un ulteriore artefice, di cui non si conoscono i dati biografici, da ricondursi con ogni probabilità alla discendenza di Giovanni o Francesco di Venanzio.


Dalla seconda metà del '700 fino alla prima metà del secolo successivo, alcuni F. vissero e operarono a Perugia. La situazione genealogica del ramo rispetto al ceppo principale è intricata e a tutt'oggi scarsamente ricostruibile. Sicuramente, però i fratelli Francesco e Giovanni sono figli del già citato Pietro, che ebbe stanza a Perugia nella prima metà del '700; nella cattedrale della città essi impiantarono, nel 1787, un organo che poi andò perduto. Tra 1700 e 1800 risulta attivo un secondo Pietro, figlio di Francesco, nato a Perugia il 27 dic. 1783 ed attestato fino alla metà del secolo seguente.
A Perugia è presente anche Orazio e ivi nacque, probabilmente nel 1773, suo figlio Aldobrando. Orazio, che poi si trasferi ad Amelia, effettuò prevalentemente restauri e manutenzioni di strumenti in Umbria: dal 1769 al 1771, ad esempio, si trova attestato a Collescipoli di Terni. Maggiori tracce si hanno dell'attività di Aldobrando, di cui resta uno dei primi strumenti nell'organo di Portaria di Acquasparta (1796); intorno al 1800 questi si portò a Roma, dove ebbe bottega nell'allora via dei Pontefici al n. 22, dopo aver soggiornato a Terni, a Isola di Sora e brevemente a Napoli. Un figlio di lui, Francesco, risulta aver esercitato la professione, ma il vero continuatore dell'attività di Aldobrando fu il genero Francesco Pasquetti, organaro di una certa reputazione intorno alla metà dell'800.
Domenico Antonio ebbe due figli: Feliciano (1771 c.-28 sett. 1841) e Ferdinando (1773 c.-23 dic. 1843), entrambi organari alla Rocchetta.
Si conoscono organi costruiti dai due, tra cui quelli di Orsano di Sellano (Perugia) (parrocchiale, 1799) e di Matelica (Macerata) (S. Maria del Suffragio, 1800), come pure strumenti del solo Ferdinando, quali gli organi marchigiani delle parrocchiali di Dignano di Serravalle di Chienti (1816), Pozzuolo di Camerino (1818) e Pieve Favera di Caldarola (1819). Ferdinando risulta tuttavia il più attivo, anche come restauratore.
Da Ferdinando e Marianna Pericoli nacquero Domenico (1811 c.-Foligno, 5 febbr. 1894), Andrea e Ottavio (attivo nella seconda metà del '800).
Andrea (18 dic. 1820-Camerino, 24 maggio 1840), che mori sulla soglia dei vent'anni, lavorò per poco tempo a fianco del padre, impegnandosi nelle ordinarie operazioni di manutenzione di strumenti. Ottavio, sebbene vissuto più a lungo, è attestato soprattutto come restauratore nelle Marche, in Umbria e nel Reatino, dal 1855 al 1880. Domenico invece svolse una lunga ed intensa attività, di cui restano, oltre a numerose testimonianze di restauri, vari organi: nelle Marche, a Poggio San Vicino (S. Maria Assunta, 1840), Camerino (cattedrale, cappella Ss. Annunziata, 1843 e S. Venanzio, in cornu Evangelii - originariamente in S. Francesco - 1853); in Umbria, a Cannaiola di Trevi (parrocchiale - orginariamente in S. Francesco a Foligno - 1850), San Lorenzo in Colle di Foligno (parrocchiale, 1852), Belfiore di Foligno (parrocchiale, 1865). Nel 1849 aveva già trasferito - probabilmente da poco - la bottega a Foligno, nascendo là suo figlio Zeno. Per competere con la forte concorrenza organaria umbra (Morettini e Martinelli), Domenico - pur sempre nel solco della tradizione familiare - adeguò gli schemi costruttivi e fonici degli strumenti ai gusti del secolo.
Domenico si sposò due volte: dal matrimonio contratto alla Rocchetta con Maria Cardoni nacque Zeno; da quello con Carolina Ceccaroni, sposata a Foligno alla morte della prima moglie, nacque Vito nel 1866 (v. voce in questo Dizionario), che, pur risultando da giovane attivo come accordatore di organi nel circondario folignate, intraprese poi la carriera di compositore e musicologo.
Zeno (Foligno 4 ott. 1849-ivi 4 apr. 1929) aprì un capitolo rivoluzionario nella storia professionale della famiglia. Attuando, tra i primi in Italia, le direttive del movimento ceciliano per la riforma dell'organo liturgico, non solo mutò radicalmente la fisionomia costruttiva ed estetica degli strumenti, ma converti anche i criteri di lavorazione dal piano strettamente artigianale ad uno vicino a quello dell'industria. La nuova concezione si concretò in una produzione in cui le caratteristiche dei singoli strumenti tendevano a stemperarsi in un modello sempre più uniforme di organo e dall'intraprendenza con cui i prodotti erano presentati sul mercato, oltre l'angusto ambito provinciale. L'artefice poco più che trentenne fu presente alle prime esposizioni industriali che ebbero luogo nell'Italia unita: a Milano (1881), dove espose un "organo corale economico" premiato con medaglia d'argento; a Torino (1884), dove, per un suo strumento dotato del nuovo somiere brevettato da G. W. Trice, guadagnò la medaglia d'oro. Prendendo a costruire numerosi organi, anche grandi, per chiese di tutta Italia, da Roma, a Firenze, a Torino, a Napoli, egli superò ben presto i confini nazionali con strumenti destinati ad Atene (chiesa metropolitana dei cattolici latini, 1890), a Quito (chiesa dei francescani, 1892), a Sebenico e a San Paolo del Brasile. Incondizionato fu l'apprezzamento dei suoi organi da parte dei contemporanei sostenitori delle idee ceciliane: tra essi Zeno trovò un autorevole fautore in A. Arborio di Gattinara duca di Sartirana, che gli commissionò vari strumenti, anche per uso proprio (castello di Sartirana e villa La Tesoriera presso Torino). Le perizie di collaudo dei suoi organi contengono pareri generalmente entusiastici; per l'inaugurazione di quello a 2 tastiere e 23 registri della chiesa romana di S. Antonio (1889), gli illustri membri dell'apposita commissione ounanimemente riconobbero la sonorità grave, dolce e robusta del ripieno per sé medesimo; la forza dei principali, la straordinaria dolcezza e finezza delle ancie, dei flauti, delle viole e degli altri registri di concerto; l'uguaglianza mirabile e l'impasto dei suoni.... Quanto al somiere, esso è di un sistema proprio, che oltre alla indipendenza dell'aria per ogni registro ... ha le singole valvoline per tal modo indipendenti, che rendono affatto impossibile ogni attrito e trasuono". Accanto all'adozione del somiere a canali per registro (in vari tipi), le innovazioni investono anche il numero delle tastiere (in genere 2, benché continuino ad essere costruiti piccoli strumenti ad un solo manuale) e la loro estensione (fino al sol o al la5, con prima ottava completa), la pedaliera tenuta costantemente indipendente dal manuale (di 27 0 30 note, raramente di 12, con tasti lunghi e paralleli), i registri rigorosamente interi (con prevalenza di quelli di 8' e l'introduzione moderata dei registri di trasmissione), la manticeria, le trasmissioni (al sistema meccanico, mantenuto con radicali innovazioni, viene affiancato o sostituito quello pneumatico-tubolare), e gli accessori, come l'onnipresente congegno dell'espressione (negli organi piccoli è l'intero corpo fonico ad essere chiuso entro cassa) e i pedaletti per unioni e combinazioni varie. Tra il XIX e il XX sec., in un momento critico per l'organaria italiana influenzata dai modelli d'Oltralpe, Zeno, pur schierandosi senza riserve dalla parte degli innovatori, non volle però dimenticare la plurisecolare tradizione di provenienza, da cui derivò un'alta e scrupolosa professionalità. Egli portò per l'ultima volta il nome dei F. agli onori della cronaca: in un elenco di c. 120 organari attivi in Italia nel 1907, quella di Zeno va senz'altro annoverata tra le ditte più qualificate. Nessuno dei due figli nati dal matrimonio con Antonia Bianconi continuò la professione paterna; alla morte di Zeno, Enrico Giustozzi (Foligno, 18 maggio 1878-ivi, 24 sett.1954), che si formò presso di lui e sin da giovane ne fu stretto collaboratore, rilevò la celebre fabbrica, portando avanti un'attività quantitativamente notevole ma di gran lunga inferiore per qualità alla produzione del maestro.
Gli organi superstiti dell'ingente produzione complessiva dei F., stimabili in alcune centinaia, non sono stati ancora sistematicamente inventariati. Solo in qualche strumento di Domenico Antonio e fratelli si riscontra il numero d'opera, ma cataloghi originali non ci sono pervenuti. I vari artefici, che apprendevano il mestiere di padre in figlio, lavoravano generalmente in botteghe producenti in media tre organi all'anno. Secondo Tuso mutuato dalla tradizione, accanto alla costruzione di organi nuovi veniva praticato anche il restauro o il rifacimento di strumenti preesistenti, con riutilizzazione parziale dei materiali.
Al di là delle peculiarità dei singoli costruttori, le caratteristiche dell'organo medio settecentesco (tastiera di 45, pedaliera da 8 a 17 tasti) sono: somiere "a tiro", ripieno a file separate fondato generalmente Sul Principale di 8', registri "di concerto" quali i flauti (cilindrici, a cuspide, a camino, tappati) in VIII e in XII, la cornetta in XVII nei soprani (a volte di più file o accompagnata da una cornetta Il in XII o dal ripieno di cornetta), la voce umana (accordata crescente) e i tromboncini (ancia a tuba corta, in facciata), accessori e registri meccanici come tiratutti, tamburo, tremolo, usignolo e simili; nell'800 vi si aggiunge qualche registro di colore e accessorio in più, aumentando l'estensione della tastiera verso l'acuto. Le facciate si presentano tripartite negli esemplari più antichi o a campata unica con canne disposte a cuspide con ali, pur non mancando altre tipologie come, ad esempio, quella di ali convergenti al centro. La resa fonica è una felice sintesi di ideali sonori classici e istanze estetiche barocche o romantiche, che segue l'evoluzione del gusto di committenti e pubblico senza tuttavia mai perdere una caratteristica impronta.
Fonti e Bibl.: Non potendosi citare i numerosi archivi ecclesiastici e civili dell'Italia centrale che conservano documenti relativi all'attività degli organari, si elencano i principali luoghi dove sono stati rinvenuti gli atti di battesimo, matrimonio, morte e simili da cui sono ricavati i dati genealogici dei vari soggetti: Cesi di Serravalle di Chienti, Arch. parr. S. Callisto, Arch. parr. S. Salvatore di Acqua Pagana, Arch. parr. S. Michele Arcangelo di Corgneto (per i F. della Rocchetta di Camerino fino al 1850 c.) e Foligno, Arch. parr. cattedrale, Arch. com., Stato civile (per Domenico dal 1850 c. fino alla morte di Zeno); Atri, Arch. parr. cattedrale (per Adriano dal 1759 c., capostipite del ceppo dei Federi o Fedri e sua discendenza) e L'Aquila, Arch. parr. S. Maria Paganica, Arch. com., Stato civile (per il ramo aquilano dei Fedri dalla metà c. del sec. XIX fino a Celestino); Ferrara, Arch. parr. cattedrale, Arch. parr. S. Francesca Romana, Arch. parr. S. Maria in Vado (per Domenico dal 1727 c. e sua discendenza).
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